Capita, quasi sempre, che sia il “destino” a produrre repentini cambiamenti: bussa alla porta all’improvviso, spalanca nuovi orizzonti più o meno luminosi e ci si trova a dover prendere “la decisione”.
E il destino aveva il volto di bombe e mitragliamenti aerei che cercavano di fermare l’attività di due fabbriche per tela di paracadute e guarnizioni per cannoni. Purtroppo normale nel ’43, in un piccolo paese al confine tra la Brianza ed il territorio Milanese. Ma i Ragazzi decisero di non stare al gioco, di ribellarsi e di dire la loro. Già c’era poco cibo, la birra non andava di moda, le ronde della milizia rendevano le giornate molto corte, la televisione era in divenire, il calcio non gli bastava ed in più non era permesso di confrontarsi con gli adulti: così decisero di Cantare!
"Con una età tra i diciassette ed i ventidue anni quella fu la loro ribellione, il loro modo per restare ancorati alla vita, la loro scelta per fare gruppo e stare insieme."
Ricordarono a vicenda ritornelli e strofe imparate dalla viva voce dei loro padri e loro nonni (i “Semperalegher” dotati di chitarre e mandolini) stabilirono la tana in una bottega da falegname, ed iniziarono d’apprima a fare chiasso quasi armonioso, poi il Pino Regondi che conosceva la musica di cui era appassionato, cominciò a ricercare vecchi spartiti, e lentamente li trasformò in un coretto strutturato: bassi, baritoni, secondi e primi. Il Ginet ed il Cus riuscirono perfino nelle parti di farsetti. “Bur-Rava” fu il nome del gruppo e si diedero soprannomi “artistici”: il Bala, Cusmin, Matita, Marozz, Pacheco, Hu, Kifa, Scanin, Coco e Gherry.
Coniarono anche un richiamo di branco, adottando il solfeggio di note tratte da Il Barbiere di Siviglia.
"CHE GRUPPO". Abbinavano a canti goliardici anche serenate, per sicurezza un poco distanti, da finestre di agognate ragazze aggiungendo i primi brani della coralità “ufficiale” durante le rare feste di paese o ricorrenze: e si costruivano un nome ed un crescente rispetto da parte degli adulti e dei Notabili di allora.
Erano anche appassionati di gite, organizzate su carri trainati da cavalli, sino alle colline circostanti ed alle prealpi a nord della Brianza. I più grandi erano già Soci del C.A.I. Desio e contagiarono gradualmente tutti gli altri. E, nel ’46, costituirono l’allora Sottosezione in Bovisio Masciago con il Coro prima attività organica con tanto di divisa.
Ormai erano il valore aggiunto e trainante della nuova realtà escursionistico/alpinistica in un paese che per le evidenti distanze dalle montagne e difficoltà economiche non poteva essere naturale bacino di cultura montana. Ma, con i primi sgangherati camion coperti da teloni ed in seguito su pulmann avviati a spinta, catturavano con l’inganno di gite canore altri giovani conquistati via via alle Terre alte.
Inviti a Concerti indetti al Ghisallo, Isola Comacina, Premana, Piona, Isola di Monticola sino al Teatro delle Erbe in Milano ed un Concorso R.A.I. condotto da Nunzio Filogamo.
Ma sempre un Coro C.A.I. : fino a salire all’inaugurazione del Bivacco “Regondi-Gavazzi a 2680 mt. in Val d’Aosta, sotto il Mont Gelè.
Nei primi anni ’50 molti di loro avevano costruito nuove famiglie e la scommessa diventava quella di coinvolgere i loro bimbi.
L’Astuzia del GRUPPO: una sera prenatalizia uno di loro, cinque anni, sentì dire dalla mamma che sarebbero arrivati gli Angeli, per cantare davanti alla capanna costruita da papà nel piccolo soggiorno. Nascosto sotto un tavolo rotondo, sormontato da un’abbondante tovaglia, Li sentì entrare e ascoltò nenie natalizie che lo fecero andare in estasi: salvo scoprire, dopo qualche mese, che erano i birbanti del Coro “Bur-Rava”; ma nell’infanzia di quel bimbo ormai erano Angeli. Ancora non c’era la televisione ed una delle prime immagini di montagna che lo attrasse fu la copertina di un disco a settantotto giri, del Coro S.A.T. di Trento, schierato ai piedi del Catinaccio: è così partirono altri sogni.
Coro come soggetto per favorire l’integrazione ?! Perché no ?! Negli anni del boom economico la migrazione di genti provenienti da altre realtà regionali ha profondamente modificato il contesto sociale, con problemi collaterali dovuti allo sradicamento dalle terre di origine e la ricerca di inserimenti non solo lavorativi. E il Canto confermò, che il suo appartenere ad una forma espressiva universale, concedeva la possibilità di offrire una delle opportunità risolutive del problema. Quante amicizie ed accresciute disponibilità di risorse umane, anche per il nostro club, si cementarono tra Brianzoli e Veneti, Friulani, Umbri, Laziali, Marchigiani, Pugliesi e Sardi. Un crogiulo di nuove ricchezze che si è mantenuto intatto sino ad oggi e che nel’66 ha visto il Coro in quanto gruppo più numeroso, tra gli altri, nel costituire l’autonoma Sezione di Bovisio Masciago e conferendo alla stessa il primo nucleo di Dirigenti e di costruttori della prima tra le belle sedi associative….. e per i primi vent’anni sezionali i Presidenti furono alpinisti/coristi.
Ma la modificata e maggiormente poliedrica composizione del Coro poneva una questione urgente. Ormai il repertorio non poteva e non doveva essere più solo espressione della cultura artistico/territoriale Lombarda. E venne in soccorso la buona sorte ed una intelligente intuizione, altre determinanti componenti, oltre il destino: il nuovo Direttore, Pino Schirru, emerso tra i coristi di origine Sarda avviò una ricerca di testi e brani provenienti non solo dai differenti territori nazionali ma esplorando anche le culture musicali internazionali di Francia, Inghilterra, Spagna, Grecia ed in seguito della Bosnia, Sudamerica e Sudafrica. Voilà, il Coro prese ali e voli che, accompagnati da una più intensa preparazione tecnica, artistica e di impegni personali lo hanno portato all’estero, davanti al Santo Padre Giovanni Paolo II°, a Concerti in Montecitorio, al Regio di Parma per il 150° del C.A.I. sino ad ottenere, dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali, il prestigioso riconoscimento di “Gruppo di Musica Popolare e Amatoriale di Interesse Nazionale”.
Ma questi sono solo, appunto, riconoscimenti. Altro, e ben più essenziale nella ormai lunga storia, è l’Anima e lo Spirito di Gruppo.
Quello originario da cui è scaturita la scelta e consapevolezza di non voler essere solo una parte della Sezione ma parte dei costruttori di una bella vita associativa, di aver vissuto nel rispetto delle norme statutarie e regolamentari che riguardano i Gruppi nel C.A.I., di aver testimoniato ad altri che C.A.I. non significa solo capacità di frequentazione dell’ambiente ed espressione di performance ma che l’alpinismo è cultura in senso lato, desiderio di comunicare e perseguire la capacità di stare insieme e coinvolgere, perché i momenti più vivicanti sono stati racchiusi negli attimi in cui chi cantava ha saputo trasmettere la propria gioia attraverso la melodia ed accompagnare coloro che ascoltavano la melodia ad una gioia propria.
Da non dimenticare l’iniziativa di un numeroso gruppo di Coristi che, sempre condotti dal Direttore Schirru, hanno costituito per lungo arco di tempo anche una formazione chiamata “La Cometa”: sotto le sembianze di Pastori, accompagnati da una luminosa Stella, che con lo scopo di favorire l’atmosfera natalizia diffondevano nenie e melodie tradizionali recuperando canti quasi dimenticati ed appartenenti alla tradizione proveniente da antichi cortili dei primi ‘900.
Poi venne anche la contaminazione delle scuole di alpinismo e scialpinismo ove, istruttori/coristi, costrinsero … la prima volta … a cantare anche gli stonati e gli afoni, sulle Grigne, sul Badile, in Dolomiti ed indimenticabile quella al Refuge du Requin nel Monte Bianco.
E, per non farsi mancare nulla, anche la costituzione di un Coro giovanile – dai sette ai quattordici anni – esibitosi in anteprima il sette novembre del 2010 al “Palamonti” di Bergamo!
Si poteva fare e si potrà fare di più ? Crediamo, ancora oggi, che dipenda da due ineludibili “modi di essere e di pensare”, da due capacità.
Quella di conservare e proteggere lo spirito fondante di allora: la passione e l’entusiasmo, l’impegno, il rispetto reciproco, il voler fare cordata con altri, la solidarietà e l’amicizia non dichiarate ma vissute.
Quella del saper interrogarsi, di mettersi in discussione, di non ritenere di aver dato tutto il possibile o che la storia debba continuare ad essere solo così.
Gabriele Bianchi, già estimatore, cantore e presidente del Coro.